QUELLO CHE NON SI VEDE DALLA VETTA
Pedalare fuori porta verso la cima di un monte, specie per un ciclista urbano romano, regala momenti di non trascurabile felicità: il traffico motorizzato si dirada, il territorio circostante s’inverdisce, l’aria si fa via via più pulita e sottile.
Una volta conquistata la vetta scatta la voglia di immortalare il momento e il panorama che si gode da lassù: l’ho fatto anch’io domenica 2 luglio quando mi sono inerpicato a 1218 metri fino a Guadagnolo, il centro abitato più in alto del Lazio, la frazione di Capranica Prenestina abbarbicata sull’omonimo Monte che domina la vallata e da cui si può contemplare Roma in tutta la sua grandezza. Il ritorno invece scendendo verso Capranica Prenestina e proseguendo poi per Palestrina e gli altri centri abitati lungo la via Casilina.
Per compiere questo percorso ad anello di circa 80 chilometri – diventati almeno una decina in più per cambi di tragitto in corsa – ho seguito quasi integralmente la traccia gps realizzata da Claudio Mancini nel dicembre 2015: partenza e arrivo alla stazione della metro C Pantano / Montecompatri, dove l’ascesa al Guadagnolo viene impostata dal versante più aspro e “tosto”, salendo quasi in verticale da Casape, con larghi tratti di sterrato e rampe al 18% di pendenza – e qui senza un bel rampichino supportato da un pacco pignoni adeguato è difficile non scendere dalla sella.
La vera bellezza
La vera bellezza della pedalata, quella che ciascuno porta dentro di sé quando torna a casa stanco ma felice, non si vede nelle immagini allegate a questo testo: lo stupore nell’addentrarsi in mezzo ai boschi, il frinire incessante delle cicale, il passaggio in bici tra due pareti di roccia tufacea, i saliscendi spaccagambe con traiettorie che disegnano ghirigori sulla collina, le soste per rifocillarsi e godersi il panorama, la prima fontanella incontrata dopo 25 chilometri sotto il sole, i consigli di due ciclisti del luogo che ti suggeriscono una variante per salire più agevolmente (ma che poi si rivelerà anch’essa bella tosta).
E ancora: la crisi sopraggiunta nel bel mezzo dell’ascesa al Monte con soltanto il fiatone come sottofondo, lo sguardo stupito di un bambino dal finestrino di un fuoristrada, il rumore molesto dei motociclisti che rimbomba ad ogni tornante, la voglia di mollare e scendere giù a pochi chilometri dalla vetta, l’incontro con un ragazzino in sella alla mountain bike verde della Pininfarina – sì, proprio lei! – che sale senza sforzo apparente e ti rimette energia nelle gambe, l’arrivo nella piazzetta di Guadagnolo con la soddisfazione dipinta sul volto e una piccola smorfia di dolore.
Dietro le immagini-trofeo scattate dalla vetta ci sono moltissime cose che non si vedono ma si possono solo intuire: il bello è che non sono mai le stesse, ogni colpo di pedale è diverso dall’altro e non sappiamo mai che cosa ci riserverà la strada per la vetta, per questo è così bello riscoprirlo ogni volta che si sale in sella.
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